============================================ Legame e struttura elettronica nei complessi ============================================ Ogni teoria del legame
nei composti di coordinazione deve naturalmente poterne spiegare
il comportamento sperimentale.
Þ
I metodi di indagine sui complessi riguardano lo studio delle proprietà
strutturali,
termodinamiche, magnetiche,
spettroscopiche ecc. Vedremo
ora (più o meno secondo lo sviluppo storico) le teorie proposte per
interpretarne il legame. Cercheremo poi di utilizzare tali teorie
(talora in modo parallelo o comparativo) per spiegare i fatti
sperimentali. La
struttura elettronica dei complessi è stata affrontata con diversi
approcci: a) Teoria del Legame di Valenza (VB) b) Teoria del Campo
Cristallino (CFT) c) Teoria del Campo
dei Leganti (LFT) d) Metodo degli
Orbitali Molecolari (MO) e) Metodo dell’Angular
Overlap (AOM) I
metodi c e d rappresentano due aspetti dello stesso approccio. Teoria
VB (Valence Bond) Fu la prima
applicazione delle teorie del legame ai composti di coordinazione, ad
opera di Linus
Pauling (Vedi il classico libro di Pauling
"The Nature of the Chemical Bond" 3rd ed., Cornell University
Press, Ithaca, N.Y., 1960.) La teoria è strettamente legata al concetto di ibridizzazione.
La formazione di un complesso è la reazione fra basi di Lewis (leganti)
e un acido di Lewis (metallo o ione metallico) a dare legami covalenti
coordinativi (o dativi).
==================================================== Þ
Es. Gli ioni Ni2+, Pd2+, and Pt2+ hanno
configurazione d8 e danno spesso complessi quadrato
planari, diamagnetici. Poichè lo stato fondamentale di questi ioni
(termine 3F)
è paramagnetico i leganti nei complessi devono causare l’appaiamento
di due elettroni spaiati. Pauling suggerì
che ciò avveniva attraverso l’uso di un orbitale d da parte dei leganti.
Nel caso del Ni2+ si conoscono complessi
tetracoordinati paramagnetici. In questi complessi tutti gli orbitali d (3d in Ni)
devono essere occupati solo dagli elettroni d8 dello ione
metallico, senza coinvolgimento nei
legami metallo-legante. Secondo Pauling questi complessi utilizzavano ibridi
sp3.
Con questa interpretazione è possibile prevedere
la geometria di un complesso d8 dalla
suscettibilità magnetica:
diamagnetico
=
quadrato planare
paramagnetico =
tetraedrico Þ
Questa regola ("magnetic
criterion of bond type") risultò assai utile per molti
anni, anche se ora sappiamo che può essere erronea e semplicistica. Þ
In
modo analogo, vi sono due possibilità per i complessi esacoordinati
degli ioni d6,
come FeII e CoIII. Es. I complessi di CoIII noti allora erano tutti diamagnetici. Furono interpretati dal VB come segue:
La descrizione interpreta adeguatamente le proprietà
dei composti: nessun elettrone spaiato e geometria
ottaedrica. La scoperta di un complesso paramagnetico di CoIII,
CoF63-,
con 4 elettroni spaiati
richiese un aggiustamento della teoria: gli ioni F-
potevano legare con gli orbitali "esterni"
4d. Gli ibridi
corrispondenti, sp34d2,
hanno la stessa simmetria dei precedenti 3d2sp3.
Lo ione CoF63- veniva descritto come:
=============================================== Principio di elettroneutralità Una difficoltà della teoria VB era l’accumulo di carica
negativa formale sul metallo derivante dalla donazione di
elettroni da parte dei leganti. Questo è un problema generale in
ogni trattamento teorico dei composti di coordinazione. Þ
Es. In un complesso di CoII
come [CoL6]2+ i 6 leganti scambiano 12
elettroni col metallo, che si ritrova con una carica formale di (-6 +2)
= -4. Formalmente Co diviene
molto negativo. Þ
Pauling indicò due
ragioni per escludere un tale eccesso di carica
negativa sui metalli. Primo, perchè gli atomi donatori sono in generale molto elettronegativi, come alogeni, N e O, e
quindi gli elettroni “donati” sono
ben lungi dall’essere ugualmente divisi e tali da rendere negativa
l’originale carica positiva sul metallo. Pauling suggerì che i complessi più stabili si
ottenevano quando l’elettronegatività
dei leganti era tale da far raggiungere al metallo una situazione di
quasi neutralità (Principio
di elettroneutralità). Calcoli molto approssimativi delle cariche, che egli
fece, danno infatti una indicazione qualitativa
di come eccessi di cariche negative possano destabilizzare un complesso.
Es. [Be(H2O)4]2+
[Be(H2O)6]2+
[Al(H2O)6]3+
[Al(NH3)6]3+ Be =
-0.08
Be = -1.12
Al = -0.12
Al = -1.08 4O = -0.24
6O = -0.36
6O = -0.36
6N =
1.20 8H = 2.32
12H = 3.48 12H = 3.48
18H = 2.88 ___________________________________________________
= +2.00
= + 2.00
= + 3.00
= + 3.00 Così, 4
molecole d’acqua neutralizzano la carica di Be2+, ma 6
donano troppa densità
elettronica. Invece, Al3+ può adeguatamente legare 6
molecole d’acqua, ma non 6 di ammoniaca. [Be(H2O)4]2+
e [Al(H2O)6]3+ sono stabili, mentre [Be(H2O)6]2+
e [Al(NH3)6]3+ non lo sono. Con metodi
moderni di determinazione delle cariche (ESCA) il principio è
sostanzialmente confermato. Secondo:
Nei complessi carbonilici, nitrosilici ecc. il metallo è in basso
stato di ossidazione ed è legato ad elementi di bassa
elettronegatività. I legami s
quindi tendono ad aumentare molto la carica negativa sul metallo.
Questi complessi possono essere stabili solo se interviene un altro meccanismo per far diminuire la carica sul metallo. Fu lo stesso Pauling a suggerire il meccanismo di
delocalizzazione della densità elettronica del metallo per retrodonazione
("back bonding") o parziale risonanza del tipo:
Quanto più contribuisce la forma (II) tanto maggiore
è il trasferimento di
densità elettronica dal metallo all’ossigeno. Þ
Il processo comporta trasferimento per sovrapposizione di orbitali d del
metallo con orbitali del CO; nel VB con un orbitale p del C (che diventa
indisponibile per un legame p
con O), mentre nel metodo MO con un orbitale molecolare p*. _____________________________________________
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